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Una delle parole dalle quali siamo bombardati ogni giorno è sicuramente “crisi”. Basta aprire la televisione, la radio o semplicemente la finestra di casa che subito qualcuno si lamenta della crisi. Eppure la parola crisi non è stato sempre sinonimo di catastrofe.

Difatti nell’antica Grecia, il termine crisi era lo stadio improvviso di una malattia dalla quale o si può guarire o morire, era dunque sinonimo di scelta di soluzione, come anche l’ideogramma cinese di crisi altro non rimanda che a “quando comincia o cambia qualcosa”. Ad aver intuito che dietro la crisi può nascondersi una possibilità di cambiamento, non sono stati solo i soliti strateghi della finanza, che acquistando, a bassissimo costo, le quote di aziende svalutate in borsa, attendono la ripresa per guadagnarne il decimo di quanto speso, ma lo hanno intuito anche coloro i quali, sono le vittime del sistema del capitalismo finanziario: i “lavoratori”.

Attorno a quest’ultimo nuovo modo di fare economia, come cortocircuito del sistema capitalistico pur restando all’interno dello stesso sistema e del suo mercato, si è discusso nell’intera giornata di ieri, presso Il Frantoio delle Idee, luogo che ha costituito una delle tappe, del tour italiano di Andrés Ruggeri, antropologo presso l’Università di Buenos Aires, per la presentazione del suo libro “Le fabbriche recuperate. Dalla Zanon alla RiMaflow”.

Sia l’intervento di Andrés che il film-documentario, “The Take-Occupa, Resisti, Produci”, proiettato alle 21.30, hanno avuto come filo conduttore la storia del “Movimento delle imprese Recuperate” in Argentina. Come ben tutti sappiamo, una delle grandi conseguenze della crisi mondiale in Italia, come in Argentina e nel resto del mondo, è stato il fallimento delle piccole e medie imprese, che ha portato con se l’incremento del numero di disoccupati cassa disintegrati, ed ahimè di suicidi. In Argentina, spiega Andrés, nasce sin dal 2001, per iniziativa di lavoratori licenziati dalle imprese fallite, un movimento di occupazione delle fabbriche, che un po’ ricorda il nostro biennio rosso (1919-20), costituendone però un perfezionamento, quello stesso che Gramsci si auspicava di trovare. Come, durante il biennio, non ci si è limitati all’occupazione, ma si è cercato di mandare avanti la produzione di fabbrica, autogestendola, senza padrone. La differenza con la fallimentare esperienza del biennio rosso, sta nel fatto che, la svolta argentina, è potuta perdurare sin oggi, grazie all’organizzazione degli ex-dipendenti in cooperative, all’investimento di queste nell’acquisto di macchinari e materie prime, grazie al sostegno della popolazione locale ed all’emulazione di molte fabbriche, che ha dato origine ad un vero e proprio “Movimento Nazionale delle Imprese Recuperate”. Ogni lavoratore all’interno della cooperativa ha la medesima dignità, potere decisionale e retribuzione degli altri.

Questo nuovo modello di Economia del Lavoratore, ha i suoi proseliti in Europa e soprattutto in Italia. Primo esempio fra tutti è la Ri-Maflow in Trazzano sul Naviglio, la cui esperienza di azienda recuperata ci è testimoniata dal portavoce Gigi Galabarba. La Ri-Maflow, in origine MURRAY, nasce nel 1973, come fornitrice di pezzi di impianto per casa automobiliste. Acquistata dalla Manuli e scorporata in un ramo della Maflow holding, l’azienda ha il suo picco d’espansione nel 2007. Ma nonostante ciò nel 2009, viene commissionata dal Tribunale di Milano e successivamente rilevata da un imprenditore polacco, che ne ridimensiona il personale, tagliando 240 operai su 320. Dopo vani tentativi del nuovo acquirente di rilancio aziendale, i 240 operai in cassa integrazione, costituiscono una cooperativa per recuperare l’azienda.

Anche al sud, precisamente in Sicilia, c’è un altro caso simile, quello del Birrificio Messina. Fondato dalla famiglia Lo Presti-Feranda nel 1923, acquistata negli anni ’80 dalla Heineken. Annunciata la chiusura nel 2007, l’azienda è rilevata da Francesco Feranda, il quale per risolvere le difficoltà economiche dell’azienda, chiede ai dipendenti l’investimento del proprio TFR, i quali fiduciosi e debitori alla famiglia dei fondatori, lo cede. Nonostante ciò, con l’avvento della crisi, Feranda licenzia gli operai-investitori, che in teoria dovrebbero avere diritto a delle quote aziendali, ed infine abbandona l’azienda siciliana, per dislogarla nel territorio nazionale. Grazie all’intervento del prefetto i licenziamenti vengono bloccati e convertiti in cassa integrazione. I cassaintegrati, occupano i capannoni abbandonati, e continuano la produzione, ottenendo il consenso legale dallo stesso prefetto.

Altre testimonianze di cooperative, sono quelle di SOS Rosarno, con l’esperienza dei campi comuni e Coordinamento Portuali SUL, che continua a lottare con le unghie e con i denti per la sopravvivenza del porto di Gioia Tauro.

A conclusione delle discussioni si è avanzata la proposta di creare una rete, fra le differenti esperienze cooperativistiche italiane, soprattutto calabresi, per promuoverne le produzioni.

Angelo Michele Mazza  

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